Incidenti da fauna selvatica. La Cassazione: sono le Regioni a dover risarcire
La sentenza 7969 del 20 aprile 2020. Cambia la giurisprudenza
Quante volte ci siamo trovati ad apprendere dalla cronaca locale e nazionale di incidenti stradali originati dall’attraversamento di animali selvatici? Quanto volte abbiamo sentito commenti da parte di non operatori del diritto sulla semplicità di ottenere il ristoro dei danni subiti attraverso il ricorso a qualche fantomatico fondo statale e/o regionale e/o locale? Innumerevoli!
Da questa considerazione l’idea di redigere un articolo che, pur non potendo essere esaustivo, ha l’obiettivo di fornire una linea guida a quanti a bordo della propria autovettura hanno la sfortuna di imbattersi contro la fauna selvatica (che poi, a dire il vero, la sfortuna è reciproca!).
In materia va, innanzitutto, segnalato che La Corte di Cassazione di recente è tornata a statuire in tema di responsabilità per danni cagionati dalla fauna selvatica con la sentenza n. 7969, pubblicata in data 20 aprile 2020, apportando significative novità sotto un duplice profilo: legittimazione processuale passiva e titolo di responsabilità.
Al fine di cogliere e comprendere in toto l’impatto socioeconomino dell’indirizzo giurisprudenziale inaugurato con la predetta pronuncia, occorre volgere uno sguardo al passato e alle difficoltà contro le quali si imbatteva (e si imbatte) il danneggiato dalla fauna selvatica sulla scorta dell’orientamento giurisprudenziale tradizionale.
Il primo quesito di non facile soluzione concerneva l’identificazione del soggetto pubblico cui imputare la responsabilità per i danni causati dagli animali selvatici.
Com'era in passato
Difatti, si riteneva che la responsabilità per i danni causati dagli animali selvatici non fosse sempre imputabile alla Regione, dovendo in realtà essere imputata all’ente – sia esso Regione, Provincia, Ente Parco, Federazione o Associazione, ecc. – a cui siano stati concretamente affidati, nel singolo caso, anche in attuazione della L. n. 157 del 1992 (“Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”), i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata.
Ciò comportava per il danneggiato la gravosa incombenza di identificare caso per caso il soggetto cui ascrivere la titolarità dei poteri predetti, che finiva in molti casi per risolversi – alla luce del confuso sovrapporsi di competenze statali, regionali, provinciali e di enti vari (enti parchi, enti gestori di strade e oasi protette, aziende faunistico venatorie, ecc.) – in un sostanziale diniego di effettiva tutela.
In secondo luogo – posto che la giurisprudenza, tanto di merito quanto di legittimità, ha tradizionalmente ricondotto il danno cagionato dalla fauna selvatica nella fattispecie normativa di cui all’art. 2043 c.c. (“Responsabilità per fatto illecito”) – incombeva sul danneggiato l’onere di provare gli elementi costituivi dell’illecito civile: danno ingiusto, comportamento doloso o colposo imputabile all’ente e nesso causale tra quest’ultima condotta e l’evento dannoso.
Il ribaltamento della Cassazione
La Corte di Cassazione, sez. III, n. 7969 del 20 aprile 2020, realizza un vero e proprio revirement:
- identifica nell’art. 2052 c.c. (“ll proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito”) il criterio di imputazione della responsabilità civile per i danni causati dalla fauna selvatica, contraddicendo il precedente orientamento che riteneva lo stato di libertà della fauna selvatica incompatibile con qualsivoglia obbligo di custodia in capo alla pubblica amministrazione.
L’art. 2052 c.c., contemplando una ipotesi di responsabilità presunta, ha l’effetto di rendere meno gravoso l’onere probatorio a carico del danneggiato, esonerando quest’ultimo dal dover fornire prove in ordine al comportamento concretamente colposo dell’Ente pubblico. L’onere probatorio, pertanto, non ha ad oggetto l’elemento soggettivo della colpa del danneggiante, bensì il nesso eziologico tra la condotta dell’animale selvatico e il danno, incombendo sul danneggiante la prova liberatoria del caso fortuito.
- Afferma che “il soggetto pubblico responsabile va individuato nella Regione, in quanto ente al quale spetta in materia la funzione normativa, nonché le funzioni amministrative di programmazione, coordinamento, controllo delle attività eventualmente svolte – per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari – da altri enti, ivi inclusi i poteri sostitutivi per i casi di eventuali omissioni (e che dunque rappresenta l’ente che “si serve”, in senso pubblicistico, del patrimonio faunistico protetto), al fine di perseguire l’utilità collettiva di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”.
Tale principio di diritto rappresenta il frutto di un ragionamento logico – deduttivo che, pur individuando nello Stato il soggetto formalmente titolare del patrimonio faunistico, identifica nella Regione l’ente che “se ne serve” ex art. 2052 c.c., in quanto la funzione di tutela, gestione e controllo del medesimo patrimonio operata dalla Regione costituisce nella sostanza una “utilizzazione” dello stesso in modo da trarne una utilità collettiva pubblica per l’ambiente e l’ecosistema. Stante ciò, nella misura in cui il suindicato art. 2052 c.c. attribuisce la responsabilità per i danni cagionati dagli animali al soggetto che se ne serve, il soggetto responsabile dei danni da fauna selvatica deve essere necessariamente identificato nella Regione.
I benefici per il danneggiato
In conclusione, alla luce dell’approdo giurisprudenziale suesposto, il privato danneggiato, contrariamente a quanto avveniva in passato, può beneficiare di quanto segue:
- conosce a priori con certezza il soggetto contro cui avanzare le proprie pretese risarcitorie – essendo lo stesso stato individuato dalla Cassazione nella Regione di volta in volta interessata alla luce del luogo del sinistro;
- la Regione si presume responsabile del sinistro ai sensi dell’art. 2052 c.c.., con conseguente alleggerimento dell’onere probatorio in capo al danneggiato.
L'atteggiamento dilazionatorio degli Enti Pubblici...
È, però, opportuno evidenziare che negli ultimi anni si è sviluppata la tendenza da parte degli Enti pubblici di respingere i tentativi stragiudiziali di composizione bonaria delle vicende risarcitorie scaturenti da danni causati da fauna selvatica.
A tal proposito ad esempio la Regione Umbria, con le DGR n. 1054 del 19.9.2016 e n. 1266 del 7/11/2016, ha revocato la DGR n. 535 del 20.4.2015 e relativo allegato, con cui venivano disciplinati i criteri, le modalità ed i termini di presentazione delle denunce relative alle richieste di risarcimento dei danni da incidenti stradali causati da animali selvatici, imponendo al privato danneggiato la via giudiziale per la soddisfazione delle proprie pretese risarcitorie.
...e la necessità di un'assicurazione
Ora, posto che notoriamente la messa in moto della macchina della giustizia comporta un dispendio economico rilevante, diventa di palmare evidenza l’importanza di coperture assicurative che consentano all’eventuale danneggiato di trasferire il rischio di danni da fauna selvatica in capo alle Compagnie Assicurative.
Detto scopo è perseguibile attraverso la stipulazione di polizze Kasko, anche nella forma a collisione.
Quest’ultima tipologia di copertura assicurativa, conosciuta anche con la denominazione “mini kasko”, consente la copertura del rischio predetto a fronte di un premio assicurativo inferiore rispetto a quello previsto per la Kasko totale che, come noto, non si limita ad indennizzare i danni derivanti da urto contro animali selvatici e/o altri veicoli, bensì indennizza anche i danni derivanti dalla collisione contro ostacoli fissi e/o dall’uscita di strada.
L’autore dell’articolo è:
Dott. Nicola Gramaccioni
Responsabile Ufficio legale e Claims Specialist
Silvestrini Assicurazioni